Sulle tracce di Alfredo Corti

Dopo la prima fase della spedizione svolta tra la zona del monte Bianco e del monte Rosa ci trasferiamo da Gressoney in Valtellina. Raggiungiamo a Morbegno Riccardo Scotti, glaciologo dell’Università di Bologna e Marco Manni, che ci aiuterà a livello logistico, entrambi del Servizio Glaciologico Lombardo e che faranno parte del team per tutto il resto della spedizione. Dopo aver verificato il programma logistico con Riccardo, riorganizzato tutta l’attrezzatura fotografica e video e preparato nuovamente tutti i materiali, il giorno successivo partiamo per la Val Malenco, più precisamente per la bellissima valle del Fellaria a sud del monte Bernina. Siamo diretti al ghiacciaio omonimo con l’obiettivo di ripetere alcuni scatti di Alfredo Corti, uno dei fotografi e alpinisti più attivi della Valtellina tra fine ‘800 e primi del ‘900.

Dobbiamo essere autonomi per circa tre giorni e per questo abbiamo zaini molto pesanti (circa 20/25 kg) carichi di tende, sacchi a pelo, stuoie, cibo, acqua, macchine fotografiche, cavalletti e tutto il resto. Dopo aver passato il lago della diga di Alpe Gera, che da sola fornisce corrente a oltre 7500 famiglie, arriviamo sopra a un alpeggio da cui credevo di trovare il punto da cui Corti scattò una sua fotografia nel 1890. Dal mio zaino tiro fuori la piccola stampa dell’immagine storica che porto con me per riconoscere il luogo esatto da cui il fotografo storico la scattò e mi rendo subito conto che per ritrovare il luogo di scatto siamo costretti a salire un ripido pendio per raggiungere un piccolo altipiano. Dopo aver ritrovato l’esatta inquadratura dello scatto storico, Riccardo suggerisce di proseguire su delle balse erbose fuori sentiero per raggiungere una cresta dove ha collocato una delle camere time-lapse con cui monitora il ghiacciaio Fellaria e da cui recentemente ha realizzato uno spettacolare time-lapse che permette di apprezzare il movimento del ghiacciaio. Il panorama è mozzafiato, il Lago del Ghiacciaio davanti la fronte è verde turchese e dalla parete rocciosa che ormai spezza il ghiacciaio in due parti cade un’enorme cascata verticale di oltre 70 metri. Dopo un rapido check della camera time-lapse e dopo aver effettuato alcuni scatti panoramici della splendida valle illuminata da una luce radente al tramonto, riempiamo le nostre borracce da una vicina sorgente e scendiamo fino alle sponde del lago per cercare delle zone pianeggianti per posizionare le nostre tendine e passare la notte. La luce è sempre più bella e mentre siamo tutti presi a ritrarre il paesaggio il drone di Federico precipita forse a causa di forti campi magnetici dovuti alla presenza di molte rocce ricche in minerali ferrosi. Decidiamo però di rimandare la ricerca al giorno successivo perché troppo lungo il percorso per raggiungere la zona in cui crediamo sia precipitato.

Il giorno successivo investiamo più di mezza giornata per la ricerca del drone ma purtroppo con scarsi risultati, il drone è grigio e la zona è enorme e piena di massi di colore simile che rendono la ricerca quasi impossibile. Un vero peccato, più che per il drone per la scheda che conteneva delle meravigliose riprese dall’alto della fronte del ghiacciaio.

Decidiamo dunque di proseguire verso il rifugio Marinelli, da cui si può osservare un anfiteatro di montagne mozzafiato nella zona a sud del monte Bernina. Da qui ripeteremo durante tutta la giornata seguente alcune inquadrature dei ghiacciai di Caspoggio e di Scerscen scattate da Vittorio Sella già nel 1896 e alcune di Corti di inizio ‘900.

Ci spostiamo poi rapidamente al rifugio Carate da cui riusciamo a connetterci per controllare il meteo, che purtroppo come previsto è in peggioramento. La scelta di questo rifugio è particolarmente strategica perché a soli 300 metri dalla vetta del monte delle Forbici da cui vorrei ripetere una bella fotografia che scattò Alfredo Corti nel 1910 al ghiacciaio di Scerscen Inferiore e Superiore. La mattina il meteo è ancora buono ma dobbiamo affrettarci prima che il calore del sole faccia salire i cumuli che copriranno i ghiacciai e le vette. È una corsa contro il tempo, saliamo quasi di corsa e raggiungiamo la vetta in poche decine di minuti. Fortunatamente la foto storica è stata scattata proprio dalla vetta facendoci risparmiare minuti preziosi. Posiziono quindi il cavalletto Gitzo, monto la camera Linhof e preparo le pellicole 4×5 pollici scegliendo la lente più opportuna e aspetto che il sole proietti le ombre nella stessa posizione in cui le vedo sulla fotografia storica. Pochi secondi prima che le nuvole coprano il paesaggio inquadrato nella mia camera scatto la nuova fotografia, che mostrerà, messa a confronto con quella di Corti, un paesaggio completamente stravolto. Le lingue dei ghiacciai di Scerscen Inferiore, Superiore e Caspoggio, un tempo unite in un’unica possente colata glaciale che occupava il selvaggio vallone di Scerscen in meno di un secolo si sono trasformate in desolate pietraie solcate soltanto da grandi morene. Queste ultime testimoniano l’antica presenza dei ghiacciai e consentono a qualche sparuto ciuffo d’erba di iniziare a colonizzare la zona recentemente deglacializzata. Più in alto le pareti di ghiaccio, un tempo costantemente coperte di neve per tutta l’estate, sono ora nude, nere e lanciano il loro grido di dolore con continui boati, massi che rotolano. È il permafrost che si degrada. L’assenza di neve e ghiaccio libera frane continue rendendo oggi molti itinerari alpinistici del Bernina, così come di altri massicci montuosi, del tutto impraticabili a fine estate.

Dopo la ripetizione dello scatto storico a 109 anni di distanza, decidiamo di ridiscendere dalla valle di fronte il rifugio che con 1100 metri di dislivello negativo ci porta alla diga di Alpe Gera dove avevamo lasciato la nostra macchina alcuni giorni prima. Il maltempo ci blocca per un solo giorno e siamo subito pronti per ripartire per una nuova missione, questa volta al ghiacciaio Ventina prima di proseguire per l’alta Valtellina.

Arrivati a Chiareggio parcheggiamo l’auto prima del torrente che proviene dal ghiacciaio del Disgrazia e del Ventina e risaliamo la valle lungo il sentiero glaciologico dedicato a Vittorio Sella che in un’oretta ci porta al rifugio Gerli-Porro. Il ghiacciaio Ventina è uno dei più importanti in Italia perché Luigi Marson già nel 1895 posò il primo segnale di misura frontale di un ghiacciaio nelle nostre Alpi. La valle è bellissima, piena di fioriture diverse, mi dispiace non poter salire ancora per vedere i Larici millenari. A 2300 metri infatti è presente l’albero più antico d’Europa con datazione certa: Nato nell’anno 1007 è ancora in vita e ha permesso a ricercatori delle Università di Padova e Torino una ricostruzione paleo-climatica locale grazie allo studio dei suoi anelli di accrescimento. Ritrovare i punti da cui Alfredo Corti ritrasse la fronte del ghiacciaio Ventina nel 1910 e nel 1932 non è così difficile, la difficoltà questa volta è cercare di convincere i numerosi turisti a non stendere i loro teli da pic-nic nel bel mezzo dell’inquadratura.

Ripetute queste due immagini scendiamo a Chiareggio e proviamo a cercare la vecchia casa di villeggiatura di Alfredo Corti. Una piccola scritta su un cancello esterno con la dicitura Prof. A. Corti ci conferma di averla trovata. Bussiamo e con grande stupore veniamo accolti affettuosamente dalle due nipoti Susanna e Valentina. Dopo aver presentato loro brevemente gli scopi del progetto “Sulle tracce dei ghiacciai” entriamo nella loro bellissima casa per ammirare le varie stampe fotografiche appese al muro. L’atmosfera è meravigliosa, la casa è stata mantenuta con un arredamento antico e minimale, elegante e prezioso. Le bellissime stampe originali, che solo in parte conoscevamo, e i racconti di Valentina e Susanna ci portano a conoscenza di aneddoti e storie sull’intensa vita di Corti. Una musica jazz proviene dalla cucina e mi fa respirare con grande emozione un’atmosfera antica e semplice come fossimo tornati indietro di 100 anni quando la lentezza e le cose semplici erano un valore.

Di seguito il video e una selezione di immagini di backstage

Gallery

Un commento su “Sulle tracce di Alfredo Corti

  1. Sono venuto a conoscenza di questo bel progetto seguendo una serata a Milano tenuta da Alberto Bregani.

    Devo dire che le immagini ed i paragoni sono come un pugno allo stomaco non c’è molto da dire, complimenti!

    Dopo aver visto questo grande lavoro, mi è venuta voglia di fare dei raffronti anche con un ghiacciaio vicino a casa: il ghiacciaio dell’Adamello.

    Grazie per questo grande lavoro!

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