“Come i canarini nelle miniere di carbone usati per avvisare i minatori della fuga di gas pericolosi, la distruzione di questi ambienti è un monito che non possiamo ignorare”. Il suggestivo accostamento è riportato in un articolo pubblicato dal magazine UP Climbing, nel quale il fenomeno dei cambiamenti climatici viene raccontato dal punto di vista alpinistico.
A raccontare le difficoltà della pratica dell’alpinismo nella zona del Monte Bianco è Ludovic Ravanel, guida alpina di Chamonix nonché geomorfologo presso il Centro nazionale di ricerca scientifica francese che partecipa anche al progetto AdaPT Mont Blanc per lo sviluppo della resilienza del territorio.
“Per comprendere il rapporto tra riscaldamento globale e alpinismo – racconta Ravanel nell’articolo – abbiamo usato come punto di riferimento ‘Il massiccio del Monte Bianco, le 100 più belle ascensioni’ di Gaston Rébuffat, la bibbia dell’alpinismo in questa zona negli anni Settanta, Ottanta e Novanta. I risultati sono impressionanti. Gli effetti dei cambiamenti climatici riguardano quasi tutte le vie di salita; Abbiamo identificato oltre venticinque processi geomorfologici che le hanno rese più difficili e pericolose. Tre di esse sono addirittura sparite”.
Nell’interessante articolo che entra nel dettaglio delle trasformazioni avvenute sui vari versanti e sulle vie alpinistiche più conosciute del Monte Bianco, viene evidenziato il fondamentale contributo fornito dal progetto “Sulle tracce dei ghiacciai” che testimonia, attraverso i confronti fotografici, l’effetto dei cambiamenti climatici e diffonde una maggiore conoscenza del drammatico fenomeno che sta trasformando radicalmente le montagne di tutto il mondo, a partire dalla “nostre” Alpi.